Matteo Roetto

Pochi giorni fa, in una Torino illuminata da un sole eccezionalmente pieno e caldo, l’artista Matteo Roetto mi ha gentilmente aperto le porte della sua casa-atelier. La sensazione, appena entrata, è stata di piacevole straniamento: ho avuto la percezione di venire trasportata in una dimensione straordinaria. Le pareti bianche e alte dell’appartamento dell’artista, interrotte da ampie finestre atte a riflettere la luce del sole, permettono ai suoi raggi luminosissimi di indorare le opere appese ai muri, fino ad impreziosirne le cromie. L’ambiente di lavoro di Matteo ha così la capacità ultima di generare nell’animo dell’ospite un effetto insolito: lo smarrimento si accompagna ad un’inevitabile attrazione per le tele astratte e figurative che popolano l’atelier.

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L’artista pinerolese mi fa accomodare alla tavola tonda e, prima di sistemarsi, rivolge una rapida occhiata agli strumenti di cui si serve per rifinire i propri lavori. Matteo inizia quindi a parlare e, nel raccontarsi, ripercorre le proprie vicende personali come se fosse un narratore estraneo: episodi fuori dall’ordinario, visioni rivelatrici e situazioni complesse si susseguono in un racconto concitato. Gli occhi dell’artista sembrano orientati verso un oltre che non riesco a definire, la sua è un’individualità ambigua che non vuole essere afferrata. Matteo osserva gli sviluppi contorti delle proprie radici dall’alto dalle fronde del suo essere, inclina il collo e gioca a cambiare prospettiva fino considerare in modo sempre nuovo il proprio vissuto.  Io vengo trascinata in questo processo esplorativo, mi arrendo alla spontaneità del suo racconto e mi accontento, infine, di immaginare la natura delle sue storie, senza pretendere di afferrarne il significato “e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Ora, volgendo nuovamente lo sguardo alle opere alle pareti, vi riconosco l’estensione del vissuto dell’artista: una folle ricerca per raggiungere e meritare la libertà espressiva. Nel procedere del nostro dialogo apprezzo tutti quei riferimenti letterari, musicali ed artistici che Matteo inconsciamente cita: Battiato, Schopenhauer, e Picasso parlano tutti la stessa lingua. Artisti idealmente congiunti in una torre di babele utopica.

Il “profondo sentire” è ciò che caratterizza la figura dell’artista. Si tratta di personalità capaci di esprimere, attraverso la materia artistica, la varietà delle traiettorie che l’animo descrive: percorsi sempre nuovi che Matteo, come un demiurgo, trasferisce nella sua produzione attraverso dipinti figurativi, paesaggi eterei, installazioni crude e violente. Emergono scenari complessi e contradditori, ma che l’artista, facendo tesoro di un’esperienza di vita complessa, riesce a dominare grazie alla sua capacità di dire “que oui et que non” alla varietà di scelte che l’esistere ci offre. Matteo si è “smarrito nel labirinto delle proprie passioni” ma, contrariamente all’Asterione di Borges, non ne è rimasto sopraffatto. L’artista torna in superficie consapevole dell’impossibilità di tradurre le profondità dell’inconscio, ma non rinuncia a suggerire, nelle proprie opere, quegli incanti osservati durante le sue esplorazioni. Tra i dettagli che rinviano ad esperienze ultraterrene è esemplificativo l’utilizzo del Blu di Prussia, la cromia privilegiata da Matteo. Attraverso questo colore, infatti, l’artista rimanda ad un mondo “altro”: ci invita ad allargare lo sguardo verso una versione alternativa della realtà, in cui la materia apre varchi d’accesso verso nuove e stupefacenti prospettive. L’artista, oggi, non teme più gli “spazi vuoti” e sterminati della mente, sa riconoscere il momento in cui è necessario riaprire gli occhi, voltare le spalle alle fantasie ed ai sogni cui l’arte rimanda ed applicarsi con attenta dedizione alla quotidianità del lavoro d’ufficio.

E’ difficile accettare e perdonare la propria umanità e le opere di Matteo suggeriscono un percorso tormentato, in cui la consapevolezza s’alterna alla vertigine.

Siamo fragili e folli ma conserviamo l’arte, nella quiete e nella burrasca, sempre e comunque. Grazie Matteo.

Angela Calderan

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