SIMONE LEIGH

Gli artisti e le artiste della Biennale di Venezia 2022 si interrogano prevalentemente sul significato e la natura dell’identità.

In questi anni abbiamo assistito all’avvento ed al sopravvento della trans umanità, che supera i pregiudizi e considera ogni cosa niente più di quel che è. Di conseguenza cambia la percezione del corpo: ora non ha più identici con i quali confrontarsi, è concepito come mero involucro ed ha la sola pretesa di accompagnarci materialmente su questa terra.

Di fronte a questi processi ci si sente disorientati e ci si domanda: “se il corpo si risolve ad una presenza, come si esprime l’identità?”

A questo proposito nel padiglione del Regno Unito Sonia Boyce esprime le sue insicurezze attraverso videoinstallazioni accompagnate da alcune riflessioni. Tra queste spicca l’interrogativo: “cosa vi serve per sentirvi liberi di esprimere voi stessi quando non siete limitati da ciò che gli altri pensano che dovreste o potreste essere? Cosa significa sentirsi liberi?”.

La Biennale 2022 però non induce a porsi solo domande, restituisce anche numerose risposte!

In tal senso è esemplificativo il caso della vincitrice del Leone d’oro Simone Leigh, che apre le porte alla discussione sull’identità e, con modi fermi ed educati, ci guida alla ricerca delle possibili soluzioni.

La monumentale scultura in bronzo posta all’inizio dell’arsenale è un intervento che avvia un processo di auto coscienza ed auto storicizzazione. Di fronte a questa imponente matrona ci si sente in un primo momento impotenti e a disagio. Successivamente si reagisce alla sgradevole sensazione cercando uno sguardo umano e, non trovandolo, ci si trova inevitabilmente a sostituire i propri occhi a quelli mancanti della scultura.

Il risultato di questo processo è un ampliamento dell’inadeguatezza iniziale, perché ora non solo ci si sente fragili, ma ci si vede anche sproporzionatamente miseri.

In tal modo Simone rende presente, comprensibile ed evidente una “colpa bianca”, capace di farci sentire improvvisamente tutto il peso di una storia e di una cultura che chiedono riconoscimento e accettazione.

Le sculture senza volto di Simone Leigh sono soggetti/oggetti complessi, non sono vittime né carnefici finché noi non diamo loro una voce, uno sguardo e riscopriamo così il nostro stesso.

Inaspettatamente sorge una sensazione perturbante, un malessere psico-fisico associabile al senso di colpa. Si compie così un processo spontaneo di autocritica in cui l’opera raccoglie aspettative e mutamenti e diviene uno spazio di relazioni.

I lavori di Simone avviano una trasformazione estetica, in grado di liberare il fruitore psicologicamente, fisicamente, socialmente e politicamente.

Per questi motivi apprezzo che sia stata premiata alla Biennale e ne ammiro le qualità creative.

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