PAOLO PASTORINO

PAOLO PASTORINO (Savona 1974)

Paolo Pastorino è un artista savonese con un percorso inconsueto: studia ingegneria e si afferma nel mondo dell’imprenditorialità, ma cresce e respira l’arte sin da quando è nato. La madre è infatti una pittrice ed il padre un noto ceramista. L’indole creativa del ragazzo è da subito alimentata dallo stimolante clima albissolese, dove gli artisti amano esporre e lavorare tra le vie del borgo. In particolare, il contatto con Sabatelli porta Pastorino a riconoscere nell’arte una narrazione fantastica, un’esplorazione folle e coinvolgente. La fantasia ironica e l’esperienza tecnica maturano in Paolo parallelamente, grazie agli stimolanti contatti con diversi scultori illustri. Così spiegata la ricchezza del linguaggio dell’artista, che spazia con disinvoltura dagli ambienti artistici tradizionali alle contemporanee piattaforme di design, innovazione e grafica pubblicitaria. Pastorino si afferma velocemente sulla scena nazionale, ad oggi può vantare importanti traguardi. Per questa ragione non è raro trovarlo nei laboratori di noti ceramisti liguri, quanto nelle gallerie italiane più innovative. Riconoscere i suoi lavori è facile, la sua è un’opera inconfondibile. Nello specifico, si tratta di forme che uniscono alla mitologia contemporanea l’antica lavorazione ceramica. Pastorino usa il termine Neo-POP Art per descrivere i suoi “balocchi colorati”: lavori complessi che si sviluppano come spontanea conseguenza di una ricerca profonda. Questa si risolve in superfici esteticamente perfette, dove leggerezza e consapevolezza si incontrano per sedurre lo spettatore, attirandolo in cromie sgargianti e preziosismi dal sapore kitsch.

CERAMICA. SPECCHIO DEL CONTEMPORANEO

La mostra “Ceramica: Specchio del contemporaneo” vuole essere uno stimolo di riflessione sull’attualità. Il periodo che stiamo vivendo è spesso considerato un momento di trasformazione, ma ciò che realmente sta mutando è la nostra visione del mondo.

Percepire i movimenti culturali sarebbe impossibile senza gli artisti d’avanguardia: geniali demiurghi della realtà, essi danno forma alle tendenze più attuali. Ed è proprio questa capacità eccezionale ad emergere dai lavori di Paolo Pastorino, Gianluca Cutrupi e Roby Giannotti. I tre artisti lavorano un materiale antico: la ceramica, ma lo fanno in maniera inedita e sorprendente.

In effetti, il confronto con le opere in mostra induce a domandarsi l’origine di questo artigianato pop, acceso e brillante. La risposta ci costringe a retrocedere nel tempo, fino al Diciannovesimo secolo: l’epoca del trionfo della plastica. In questo periodo ogni aspetto della cultura è influenzato dai caratteri industriali dei materiali sintetici ed anche gli artisti scelgono di usare plastiche, resine, gomme per ottimizzare i tempi e le possibilità di lavoro. Dal punto di vista storico-artistico il concetto è valorizzato a discapito dell’artigianalità, conducendo alla dispersione della saggezza manuale.

Nell’ultimo periodo, però, si registra un cambio di tendenza.  Si sta diffondendo una nuova etica, che si orienta secondo i principi di riciclo e sostenibilità. La società ricalibra il proprio gusto: torna ad apprezzare l’artigianato e le potenzialità della produzione tradizionale. Tale riscoperta è ben visibile nei lavori presentati alla Kélifos Gallery, dove si realizza una prodigiosa unione tra l’innaturale perfezione tipica della plastica e la fragilità della terracotta. Sono due estremi in apparente contraddizione, ma che raggiungono una sintesi armonica nelle opere di pochi artisti d’avanguardia. Tra questi, Paolo Pastorino, Gianluca Cutrupi e Roby Giannotti hanno saputo cogliere la trasformazione contemporanea ed infine tradurla con entusiasmo nell’ opera d’arte. Si tratta di riflessioni preziose, dove la profondità della tradizione savonese è abilmente riassunta nelle superfici impeccabili. Queste, traducono con un linguaggio aggiornato le nostalgie e le prospettive del sistema variegato e complesso dell’arte contemporanea.   

A chiusura della mostra, in occasione dell’evento Albissola Comics, il noto fumettista Paolo Mottura parteciperà all’esposizione proponendo eccezionalmente alcuni dei suoi lavori su carta. Nonostante il materiale si discosti dalla tematica della mostra, proprio l’ironia di Paolo ha colpito positivamente le personalità che gravitano intorno alla Kelifos, convincendole sull’opportunità della sua partecipazione all’ esposizione Ceramica. Specchio del contemporaneo.

BRENNO PESCI

Il paziente ed appassionato lavoro di stratificazione materica che realizza l’artista e artigiano Brenno Pesci è ben percepibile nei suoi lavori.

La mano dello scultore costruisce lentamente un’opera colma d’espressività, capace di restituire allo sguardo dell’osservatore l’energia dell’impulso che ne ha permesso la creazione. Le figure di Brenno propongono un confronto con l’ancestrale inquietudine dell’essere. Nello specifico, quella tensione continua verso il futuro, che permette ogni volta alla vita di vincere sulla morte. 

Questa fede cieca e primitiva nell’esistenza è riconoscibile nei lavori di Pesci e permette di collocarsi in una dimensione di utopica speranza. Qui impariamo a guardare con i suoi cavalieri oltre la concretezza e procediamo come i suoi santi verso un oltre di celeste purezza.

Le sculture di Brenno intonano un inno alla vita, sospirano sui nostri lutti e ci aprono le porte del cielo. Ciò che più stupisce di questi lavori è che non richiedono spiegazione, ma dialogano con noi e costruiscono narrazioni senza sfruttare l’uso della parola. D’altronde la lingua non è il mezzo di comunicazione preferito dell’artista. Pesci è un uomo d’eccezionale e delicata riservatezza.

Lo stesso che ci apre le porte di un atelier incantato ed in pacifico silenzio lascia il nostro sguardo circolare libero tra le sue plastiche presenze. Eccoci allora scivolare leggeri tra le complesse superfici delle sculture. L’artista intanto ci osserva sereno, consapevole della preziosità del suo lavoro. Brenno Pesci costruisce per noi un’opera che rigenera e conforta ed infine emoziona per la sua bellezza gentile.

Nicola Samorì

L’artista Nicola Samorì spicca nel panorama dell’arte contemporanea grazie al carattere esclusivo della sua riflessione artistica. Quest’ultima, invero, colpisce per la profondità e la capacità di coinvolgere intensamente lo spettatore nella misura in cui restituisce una realtà comune a tutti: quella della morte.

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Colapesce canta “mi mette in mano la vita quindi mi passa la morte” e Samorì lo dipinge. Le immagini dell’artista sono realtà vive, ma in quanto vive corruttibili, fragili e sofferenti.

Nicola Samorì riflette sulla natura umana, sulla paura che tutti condividiamo, ma tacciamo. La morte è presente ed invadente, tutti egualmente ne riconosciamo l’esistenza, ma ognuno vi si confronta a modo suo. La morte rappresenta una realtà taciuta e da noi soppressa attraverso la sovrapposizione di delicatissimi strati fatti di illusioni. Quest’ultime, derivanti dalla quotidianità, dalle pubblicità, dal mondo del lavoro e dalle istituzioni, vengono invece svelate dall’introspettività della religione, della poesia e soprattutto dell’arte.

In tal senso l’arte di Samorì finisce per imporre in modo violento alla nostra attenzione l’esistenza della morte, della caducità, della corruzione: nell’opera dell’artista “l’umanità di spalanca davanti a noi nella misera e mirabile corporeità” attraverso un segno che non illude, ma “scortica”, scioglie e disgrega la materia, liberando la forma dai suoi limiti, portandola al di là della tela, imponendola all’interno della nostra stessa realtà.

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L’artista esprime in modo cruento ed esasperato la presenza  della morte. “La paura della carne” emerge dai fondi occultati dalle rassicuranti illusioni, le penetra violentemente e si palesa in modo spaventevole ed insolente.

Samorì afferma: “il terrore più grande consiste nell’avere un’acuta percezione di sé, della propria finitudine ed abitare una carne che si corrompe”. L’artista manifesta in maniera sfacciata la componente umana della morte attraverso una materia “pulsante”, che non sa più trattenere entro i limiti della forma l’orribile. Quest’ultimo allora trabocca e travolge l’osservatore disorientato, ma allo stesso tempo esorcizza in un’ultima intensa espressione la paura del raccapricciante, del deforme, del mortale, che deriva dalla corruttibilità della carne, dalla fragilità della vita.

Angela Calderan

AGENORE FABBRI

Il comun denominatore delle opere pittoriche e scultoree di Agenore Fabbri è l’intensità espressiva.

Nel corso di una lunga carriera, l’artista toscano si confronta con diversi tipi di materiale, per tradurre con efficacia ed irruenza il dramma personale di un’esistenza difficile.

In effetti, è soprattutto la sofferenza ad emergere dalle figure di Fabbri: uomini, forme indefinite ed animali. In accordo con l’amico Picasso, l’artista riconosce proprio nell’animale un veicolo espressivo puro ed incensurato. Particolarmente eloquenti sono infatti i corpi degli equini, che si contorcono secondo sentimento, definendo uno spazio di eccezionale autenticità. Le opere di Fabbri sembrano rinunciare a reticenze ed intellettualismi, per denunciare a gran voce la difficoltà dell’esperienza umana. Così, il dramma dell’autore si propaga dalle sue creazioni allo spettatore, suggestionandolo e coinvolgendolo fino alle lacrime. Simili ad esperienze catartiche, queste opere rimandano a stati emotivi primari e perturbanti quotidianamente dissimulati.

Agenore Fabbri è un artista che lavora al di fuori dal tempo, soverchiando e disgregando le coscienze, fino ad intrattenere con l’intera umanità un discorso spontaneo e fatale. “Hecce Homo!”, sembra asserire deciso questo autore, mentre coinvolge lo spettatore di ogni epoca nelle sue storie tormentate e nevralgiche.

L’opera di Agenore Fabbri è un vero e proprio bagno purificatore, un procedere a briglie sciolte verso orizzonti poetici senza definizione. La linfa vitale di questi lavori è certamente la passione. Si tratta di una forza trainante, che accompagna l’osservatore tra la melma, per restituirlo al mondo “candito”. Ovvero, arricchito e trionfante, in una sorta di redenzione umana. Questa è da intendersi come “bello e grande dolore (…) rivelato per l’eternità”. Tale interpretazione è presa in prestito da Arturo Martini, che Agenore conobbe in uno dei suoi frequenti passaggi nell’amata Albisola.

Sull’importanza dell’arte

L’artista che dà forma al presente lo fa spontaneamente, sfarinando l’imposizione. Apre alla dimensione eterotopica, che giustifica l’azione disimpegnata di chi crea, ma anche la messa a nudo di chi osserva.

L’arte è proprio questa eterotopia: lo spazio della libertà svergognata, dove l’utopia ammette d’esistere.

È un luogo tanto necessario quanto eccezionale, il regno esclusivo delle chimere. Qui, i pensieri autentici rubano maschere ai poveri per arricchire chi si era perso.

L’opera è viva quando stimola a discutere il presente, avviando quella riflessione destinata a diventare azione. Infatti, alle porte dell’eterotopia inizia il mondo concreto.

Perché l’arte contemporanea è tanto importante?

Perché è l’officina della politica quotidiana. Un’occasione preziosa per costruire con libertà il proprio riflesso. La visione artistica rende i mulini a vento nemici, aiuta a trovare chi cerca e trasforma la preghiera a in benedizione.

Occorre avere fiducia nella dimensione creativa e nei suoi protagonisti. L’artista, però, non è un oracolo. Al contrario, come tutti affronta coraggiosamente l’ideale e lo traduce nel gesto ordinario.

Credo in questa follia innocua. Ovvero, l’arte che annulla le distanze, portando a riconoscere il “sé nel tutto, sanato per sempre”.

L’opera è una nuova scoperta: Sara Naim, “Pink Curves”, 2020.

Mortalità-Immoralità

Conserviamo il passato perché giustifichi al futuro un presente apolitico, dove esistono i diritti ma non doveri e responsabilità.
Davvero abbiamo la presunzione di credere che lo scopo degli antichi fosse consegnare una realtà “pronta” al nostro uso e consumo?
Zagrebelsky riprendendo Primo Levi: “In una società libera non fingiamo di non avere alternative”
Decidere cosa conservare dell’oggi è un dovere verso chi ci osserva dal domani. La selezione è un atto politico, che nasce dalla fiducia e restituisce dignità al nostro presente.
Penso alle Time Capsule di Warhol ogni volta che scelgo. Così la mia azione aggiunge un frammento a quel kit essenziale “for the future”.

MEMORIA – OSTACOLO

Barbara Fragogna, Repulisti

Quando l’antropologa inglese Sharon Macdonald conia l’espressione Difficult Heritage ha in mente quegli “eventi del passato che hanno eco nel presente, continuando a generare conflitti”.

Questa eredità della memoria, se intesa in prospettiva individuale, può valere ad indicare quei momenti traumatici dell’esistenza, rispetto ai quali non si è raggiunta una pacifica riconciliazione.

Il motivo per cui ciascuno sfugge alla risoluzione del conflitto è il timore di reagire in modo incontrollato; la strategia con cui ci si sottrae a tali ricordi è soffocandoli, di fatto, tra le banalità del quotidiano.

Barbara Fragogna manifesta un atteggiamento ostinatamente contrario a quello descritto.

Barbara è un’artista, curatrice, editrice, ma soprattutto una donna in “rivolta”, capace di affermare la propria autenticità, sfidare con audacia i propri “Difficult Heritage” ed al contempo superare lo stereotipo della “femminista d’assalto”.

L’artista di origini veneziane avverte la sua eccezionalità dalla frequente percezione di una difesa, un ostacolo, che la “massa” frappone alla sua riflessione, come a tutto ciò che non può essere controllato e definito secondo il senso comune.

Il merito di Barbara deve riconoscersi nella sua abilità ad esorcizzare lo sconforto del rifiuto attraverso la creazione artistica.

È infatti l’opera d’arte il mezzo privilegiato con cui Fragogna confessa la propria identità a sé stessa e al “volgo”. Da questa singolare “ostensione del sé” emerge una personalità mutevole, contradditoria, capace di assecondare e cavalcare il variegato universo degli umori, sentenziando talvolta que si e talvolta que non.

L’“esaltato e cromatico io” che Barbara esibisce attraverso i suoi lavori non esige risposte, ma stimola alla riflessione. In via non dissimile dai passages di Benjamin, la mano dell’artista riconfigura lo sguardo dello spettatore sugli scenari della realtà. Da una nuova prospettiva, lo sviluppo dell’esistenza inizia a descrive ritmiche inedite, sound rinnovati, ma riecheggianti già noti bit del passato.

L’artista individua nella ridiscussione continua delle proprie e delle altrui certezze una modalità di costruzione creativa esclusiva. Si tratta di una riflessione dinamica in cui il ricordo, accumulo “inutile ma necessario” della memoria, diviene anch’esso strumento di crescita e di emancipazione dal passato.

La “vita è fatta di primavere”. Barbara conosce bene questa verità e lo testimonia l’ampio ventaglio delle sue opere sempre differenti, interpretabili “in some different levels”.

Fragogna gioca con la morte in modo ironico, “un gioco pesante di pensieri e paure”, canzona le proprie memorie scomode, rosicchia le sue ossa per accedere a nuovi stimoli. Si tratta di un atteggiamento cannibalesco che la serie dei Repulisti, evoluzioni concettuali dei lavori pittorici, riflette in modo perfetto.  

La serie nasce da un inedito procedimento di rielaborazione, una vera e propria “piazza pulita” compiuta su tele “d’archivio”.

L’artista veneta distrugge parte delle opere realizzate in precedenza e ne ridimensiona di fatto il valore economico. È un gesto artistico di denuncia, rivolto alle leggi del mercato per cui le dimensioni dei lavori primeggiano tra gli indici di quotazione, mentre rimane sullo sfondo la portata concettuale ed umana della creazione artistica.

Barbara si oppone radicalmente ad una concezione tanto superficiale dell’atto creativo, si domanda e ci domanda provocatoriamente: “ma il piccolo formato vende?”.  

L’eroica anti-eroina di una contestazione tutta al femminile arrotola e raggomitola la propria vicenda esistenziale con un gesto complesso, ma di disarmante semplicità. L’artista, ebbra di “un intenso impeto di passione, desiderio e amore”, dissotterra dal pesante concentrato dell’esperienza una nuova linfa vitale.

Qual è il nostro ruolo in questa destrutturazione provocatoria? Lasciarci travolgere dalle matasse di memoria, partecipare come singoli al suo “movimento di rinascita”.[i]


[i] Le citazioni (fatta eccezione per la prima) sono estratti da interviste, brevi saggi e poesie di Barbara Fragogna, i testi redatti dall’artista sono consultabili e/o acquistabili sul suo sito: https://www.barbarafragogna.com/.

VALERIA CALDERAN

Valeria Calderan, classe 1996, ha origini italiane.

L’artista nasce e cresce nella campagna canavesana, l’oasi verde della provincia di Torino. La bellezza del luogo d’origine è arricchita da suggestioni artistiche d’ambito famigliare. Valeria rimane infatti fortemente influenzata dalle cromie accese che caratterizzano le tele realizzate dalla nonna e dalla saggezza materica dello zio restauratore.

Inizialmente la giovane artista concentra il suo estro creativo nell’ambito musicale e fotografico: Studia pianoforte al conservatorio e frequenta un corso per migliorare i suoi scatti. Ecco che Valeria comincia a vedere la realtà in modo diverso e tenta di rivendicare la bellezza del dettaglio naturale attraverso le sue fotografie.

La curiosità spinge la ragazza italiana a spostarsi dalle terre originarie per realizzare viaggi sempre più lunghi. I territori incontaminati del Nord Europa e le culture orientali la affascinano e ispirano, le esperienze lavorative in Irlanda, Parigi ed Olanda influenzano irrimediabilmente i suoi lavori. Proprio in Olanda Valeria entra in contatto con l’illustrazione. Gli acquarelli della nuova amica Eulalia Rosa la conquistano al punto di determinare in lei una svolta creativa. Si tratta della conversione al pennello messa a punto all’arrivo in Australia. Nel 2017, infatti, l’artista si sposta in quest’isola incuriosita dalla diversità culturale di luoghi estranei ai modelli europei. Lo sguardo della ragazza è conquistato dai rossi delle terre carminie e dai blu profondi degli oceani che le proteggono.

Valeria ha voglia di tradurre tali suggestioni sulla carta attraverso l’uso della matita e del pennello scoprendo un’eccezionale attitudine al disegno. Le produzioni si moltiplicano ed estendono anche grazie al contatto con la selvaggia semplicità che caratterizza la natura e le persone del Sud America. Durante uno dei viaggi in questa terra, si avvicina in modo particolare all’artista Laerte Ramalho e con lui riflette sulla forza espressiva del colore del territorio brasiliano. 

Oggi Valeria continua a dedicarsi all’arte ma in un’ottica innovativa. la ragazza non è spaventata dal mezzo digitale e tenta di dominarlo attraverso la sua mano esperta.  Lo spettatore ha modo di confrontarsi con un raro caso in cui la creatività soggioga la macchina, piegandola al suo volere.

Il bianco ed il nero, propri del linguaggio tecnologico, riferiscono così del contrasto primordiale tra luce e ombra, gioia ed angoscia. L’arte, attraverso diverse possibilità linguistiche ed estetiche, finisce per divenire un prezioso veicolo di comunicazione, aprendo la riflessione sull’uomo di oggi. Nello specifico, possiamo considerare l’opera creativa uno specchio capace di penetrare la superficie e riflettere l’essenza dell’essere. Nietzsche seppe riflettere con intelligenza sulla dimensione artistica, questa, secondo il filoso tedesco, non può essere pessimista perché capace esclusivamente di “affermare”. Valeria, attraverso i suoi lavori, conferma tali pensieri.

L’artista italiana maneggia con capacità una moltitudine di mezzi e finisce per dare forma e voce a sensazioni inedite. Si tratta di emozioni che l’individuo contemporaneo quotidianamente tende a reprimere, ma che ora si impongono al suo sguardo attraverso l’opera d’arte.

La mia memoria è la tua e come allora vediamo le favole. Auguri cuginetta.

Tutte le opere sul sito: https://www.etsy.com/shop/valeriaillustrated/

GIOVANNI MATANO

-Giovanni Matano-

Giovanni Matano unisce nelle sue figure la sensibilità dell’artista, l’abilità dell’artigiano e la saggezza dell’etnografo. Le opere prodotte dall’artista di origini campane rivelano una forza primordiale, frutto di ancestrali passioni spesso represse in nome di una morale d’apparenza. Indossare maschere è oggi ritenuto un gesto negativo, volto a nascondere. Al contrario, la maschera primitiva riflette come uno specchio sensazioni comuni all’intero genere umano. L’opera di Matano è autenticamente concreta ed impattante, sa coinvolgere con sensualità e trasportare verso dimensioni sconosciute. Qui la comprensione reciproca diviene possibile proprio in nome di quegli eccessi disprezzati nella “società degli indifferenti”.In conclusione, si tratta di un invito a superare il rigore della forma imposta, per riconoscere con sorpresa che nella propria immagine si nasconde anche quella dell’altro.

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