La creatività oggi è una caratteristica rara, è la capacità di percepire l’intensità di un momento quotidiano e traslarne l’essenza in forma nuova. In quest’ottica, Luigi Saiu può essere considerato un artista d’eccezionale valore. La sua particolare sensibilità gli permette di cogliere significati profondi dagli istanti dell’ordinario. L’artista ripropone quell’esperienza nelle sue opere, che si articolano attraverso diverse tipologie di linguaggio. Lo spettatore viene così indotto a riconoscere la ricchezza insita al quotidiano, riconsiderandolo all’improvviso emozionante e coinvolgente.
Le forme eteree delineate dall’artista bulgara accompagnano lo spettatore sensibile in un vero e proprio viaggio sinestetico. Daniela restituisce alla natura una concretezza viva ma impalpabile, autentica e priva d’ambiguità. L’artista, attraverso le sue creazioni, allontana con disprezzo tutto ciò che è artificio e trasmette un amore incondizionato verso la natura. Queste opere somigliano ad abbracci, cromatiche riconciliazioni tra inquietudini e fragilità. I lavori di Daniela sono ambienti ricchi di dolcezza, dove poeticamente ognuno è libero di mostrarsi umano. Lo spettatore si innalza poeticamente al di sopra del mondo e, come un Icaro in volo, scioglie le proprie diffidenze ai caldi raggi dell’astro celeste.
È noto che la città di Torino fu una delle prime a recepire le novità artistiche che all’inizio degli anni ’60 si stavano gradualmente imponendo in Europa, Giappone e America. Il merito del fortunato anticipo sul resto della penisola è di Michel Tapié, noto critico d’arte e promotore dell’Informale. Proprio a Torino, infatti, l’intellettuale francese fonda con Ada Minola l’International Center of Aesthetic Research (ICAR). Qui vengono organizzati dibattiti, eventi e proiezioni per diffondere le correnti nascenti dell’“Art Informel” e dell’“Art Autre”. Ugo Grassi coglie con entusiasmo le suggestioni provenienti dagli eventi promossi da Tapié, che lo invita ad esporre all’ICAR numerose volte. L’artista torinese elabora con genialità un’arte nuova, che gli amici definiscono “un’altra cosa”. Si tratta di una creazione libera da costrizioni, un’opera che giustifica e sintetizza nella propria presenza qualsivoglia ragion d’essere e finisce per rinnegare ogni tipo di significante. Tapié, colpito dall’eccezionale sensibilità di Grassi, lo ammira in quanto “conosce l’ambiguità costruttiva”. Tale espressione può essere ricondotta al famoso contrasto nietzschiano tra ragione e spirito, il quale rende impossibile una comunicazione efficace attraverso un linguaggio prestabilito. Ugo decide quindi di svuotare la forma da ogni pretesa finendo per ridurla a semplice residuo gestuale. L’artista sfoga e dirige in modo controllato i propri umori sulla tela, ciò che ne rimane è una psicologica visione di materica espressività. È proprio questa affermazione decisa, priva di “ipocrisie”, apparentemente istintiva ma in realtà precisa e ragionata, a rendere l’opera d’arte concetto. Grassi, similmente al demiurgo di Platone, dà vita ad una nuova realtà. Si tratta di un luogo a sé, spazio fisico che non riferisce del mondo sensibile, ma s’inserisce in questo come presenza concreta. In definiva, l’artista crea un campo inesplorato di forze in continua tensione. Ugo Grassi, definito da Galvano “pittore di testa”, ha il merito di aver contribuito all’avvio della fortunata stagione dell’Arte Informale e Concettuale piemontese. Le opere in esposizioni costituiscono la testimonianza preziosa di un artista geniale ingiustamente poco considerato dalla critica contemporanea.
Il comunicato stampa della prima mostra curata da me:
“L’immaginario nell’arte: tra astrazione e figurazione”
Dal 18 luglio al 30 agosto, la CASA DEL CONTE VERDE ospiterà la mostra collettiva di arte contemporanea, proposta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Rivoli, dal titolo: L’immaginario nell’arte tra astrazione e figurazione.
Per tutto il mese di luglio il Museo sarà aperto il VENERDI’ e il SABATO fino alle ore 22:00
L’esposizione verte sulle interessanti proposte di 15 eterogenei artisti contemporanei. La varietà delle origini dei protagonisti della mostra (Italia, Russia, Belgio, Bulgaria, Croazia e Svizzera) offre un’inedita occasione per approfondire in chiave globale il tema dell’Immaginario nell’Arte.
L’esperienza proposta al visitatore è quindi unica e mira a stimolare una riflessione ampia e profonda su linguaggi artistici da sempre considerati opposti. L’astrazione e la figurazione sono infatti comunemente riconosciute quali antitetiche costruzioni dell’indagine creativa. Nelle stanze del Museo di Rivoli, invece, grazie alla sapiente direzione del direttore artistico Roberto Borra, forma e astrazione tentano una forzata convivenza, finendo per delineare una narrazione vivace e stimolante. È proprio questa narrazione, favola dell’espressione libera, al centro della mostra curata dalla giovane studentessa in Storia dell’Arte Angela Calderan.
Si tratta di una libertà conquistata a fatica dall’artista contemporaneo, che apre la mente alle infinite possibilità del linguaggio. In questo labirinto borgesiano di opportunità gli autori non perdono però il proprio cammino, ma riescono a raccontarsi attraverso modalità personali e inedite. L’esito di queste ricerche è edificante: le eccezionalità di ognuno si riscoprono affini nella dimensione artistica.
Lo spettatore non può che rimanere coinvolto in questa trama avvincente di lotte, contrasti e congiungimenti. È proprio la riscoperta fratellanza degli opposti a rendere la mostra tanto importante per l’epoca attuale. La pandemia ha costretto ognuno di noi al confronto con una vita nuova e dalle forme inaspettate.Queste modifiche non devono disorientarci, ma aprire nuovi scenari immaginifici.
La mostra intende fornire una via alternativa di fronte all’incertezza del presente: un invito ad abbandonare ogni timore per riconoscere la bellezza intrinseca del confronto con la diversità. Formale ed informale, presente e passato si riscoprono in armonia in questa esposizione. Una mostra che si propone come una primavera culturale in piena estate, acqua fresca che traghetta l’immaginario oltre i cupi scenari dell’epidemia.
Autunno 2019: un anziano artista di Wuhan è impegnato nella realizzazione di un dipinto astratto. Si tratta di una tela formata da un supporto tondo, il quale è interamente campito da un rosso “vivace ed irrequieto”.
Spesso il nostro sguardo ha l’abitudine di ricondurre la forma a simboli viventi. In tal senso va inteso il disappunto dell’artista di Wuhan. L’uomo intravede nell’opera la possibilità dell’interpretazione politica ed infastidito dall’affinità simbolica, decide di mettere da parte l’elaborato. L’opera viene abbandonata in prossimità di un altro lavoro lasciato incompiuto: la riproduzione mimetica di una Vergine di Raffaello.
La Donna descritta è bellissima. Le sue forme seducono lo sfortunato cerchio rosso, il quale comincia a maturare un sentimento di astio nei confronti dell’incantevole Vergine. L’insofferenza finisce per determinare una reazione scellerata della tela carminia, questa ruba l’aureola alla donna e fugge all’aria aperta. È un atto liberatorio, a seguito del quale il cerchio si pone la corona sul capo auto-nominandosi “virus I”.
L’indisciplinata opera d’arte ha un nuovo obiettivo: divenire invincibile facendo razzia della vitalità umana. Come un parassita, Virus I priva chi incontra della propria energia. Ogni persona reagisce in modo diverso all’ estorsione del bandito, ma talvolta accade che qualcuno perda addirittura la vita.
La pericolosità di Virus I si estende rapidamente, provocando in tutta la popolazione del mondo inquietudini e timori. Proprio per questa ragione, leader politici e scienziati discutono le strategie utili a sconfiggere il morbo. Tutti gli esperti si riconoscono concordi nell’ isolare i cittadini fino all’ abbattimento del nuovo nemico.
La situazione continua a preoccupare fino a che, una mattina, Virus entra nella cameretta di Paulo, un bambino spagnolo. Il piccolo si è mascherato da Arlecchino e gioca ad applicarsi adesivi colorati sul volto. Paulo riconosce nella dispettosa opera d’arte un perfetto attributo da Clown e decide di fissarla proprio sulla punta del nasino.
Il bambino però percepisce improvvisamente un gran fastidio ed inizia a starnutire. I genitori, allarmati dalla continuità di quegli Etchì, decidono di accompagnare Paulo al pronto soccorso. Quando la famiglia arriva in ospedale si crea una gran confusione. Infatti Paulo continua a starnutire colpendo inevitabilmente anche i pazienti del reparto.
Nonostante lo scompiglio generale, alcuni medici notano che i malati vicini al bambino stanno riacquistando energia. Gli infermieri raccolgono quindi gli starnuti di Paulo ed in seguito lo addormentano, così da potergli asportare il fastidioso tondo rosso dal naso. Durante l’operazione, il latitante viene immerso nel disinfettante, qui disperde ogni vigore cromatico e con questo le proprie forze. In altre parole, Virus I viene sconfitto.
La notizia si diffonde rapidamente in tutto il mondo, le persone tornano nelle strade. Ogni cosa riprende vita tra balli e canti dai motivi inediti: “e ora cominci l’epoca del bene, quella che trascina con sè il più azzurro degli azzurri”.
Il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale è caratterizzato dal protagonismo statunitense. Il celebre American Dream infatti, restituisce speranza e fiducia al resto del mondo, finendo per divenire un miraggio globalmente condiviso.
Dall’Europa all’America, la merce proposta dai mass media attrae le fantasie di tutti i cittadini. La pubblicità, attraverso i suoi colori seducenti, riferisce in modo diretto un oggetto che abbaglia e conquista, in altre parole “canta le merci e le loro passioni”. Si tratta di uno spettacolo a cui tutti sono invitati a partecipare tramite il consumo di piaceri preconfezionati. L’ottimismo di questi anni degenera peraltro in un’estrema idealizzazione della materia. In tal modo, il singolo ridimensiona la propria indipendenza limitandosi a mero consumatore, il quale contrae il proprio atto critico circoscrivendolo alla scelta dell’acquisto.
In pochi anni si realizza il passaggio dal “cogito ergo sum” cartesiano al più calzante Compro dunque sono della Kruger. Si tratta di una nuova modalità di pensiero, che identifica nell’azione del consumo l’espressione compiuta del libero arbitrio. Ciò che avviene realmente è però un asservimento totale del soggetto al potere seduttivo dell’icona. Il consumatore riconosce e gratifica il proprio sé aderendo allo stereotipo.
L’arte, come ogni altro aspetto della realtà, diviene merce ed in quanto tale oggetto di promozione, acquisto, consumo. Conseguentemente l’artista, che partecipa di questa realtà straniante, ne traduce i meccanismi attraverso la sua opera. Tali creazioni sono spesso definite Pop ed evidenziano, nel proprio aspetto Kitsch, l’inconsistenza di una società basata in toto sulla spettacolarità.
Maurizio Cattelan è l’esempio più noto e discusso di artista Pop contemporaneo. Egli traduce il Brain del presente e ne svela i processi.
Il successo internazionale dell’artista italiano lo rende un personaggio conosciuto in tutte le nazioni ed apre di fatto il dibattito artistico a tutti, democraticamente. Proprio per questa ragione Cattelan diviene bersaglio di numerose critiche, spesso negative perché dettate da superficialità.
Un atteggiamento che sembra riconducibile all’abitudine tutt’altro che moderna di proclamare l’uva inaccessibile acerba.
Il consumatore ideale riconosce nell’opera d’arte la materializzazione della propria genialità, quindi la compra. Il prezzo d’acquisto, talvolta elevato, risulta legittimato dal nostro stesso presente. Infatti, in un mondo dove ogni valore è ridotto all’immagine, l’apparenza convalida il suo prestigio stabilendo con libertà le proprie regole.
Tornando a considerare quella massa che non può arrivare all’uva, è utile riflettere sulla natura di quel senso di inadeguatezza che coinvolge chiunque si ponga di fronte all’opera di Cattelan, non come acquirente ma come osservatore.
Risulta evidente infatti, che dall’arte Pop maturi sempre un senso di straniamento. È proprio questa sensazione, frutto dello scarto tra ciò che desideriamo essere e ciò che siamo, il luogo in cui si manifesta la resilienza dell’Io.
In definitiva, valorizzare quelle diseguaglianze generate dal Pop è un primo passo verso la riconquista della propria individualità. In questo senso, un artista come Cattelan può essere considerato greenberghianamente un avanguardista. Nello specifico, un intellettuale capace di tradurre il presente stimolando e rinnovando il dibattito contemporaneo.
Paolo Icaro Chissotti nasce a Torino nel 1936. Nel corso della sua vita l’artista viaggia tra l’America e l’Italia stabilendosi infine nella provincia di Pesaro. L’opera di Icaro matura tra ambienti poveristi, minimali e concettuali, fino a raggiungere quella indipendenza espressiva che fa di lui un vero e proprio Maestro. Ciò che rende uniche le sue creazioni è la capacità di comunicare in modo semplice e diretto idee di natura complessa.
Icaro infatti, contrariamente a molti artisti di oggi, non sfida l’osservatore a un duello intellettuale. Al contrario, attraverso la sua opera “allunga la mano” verso l’astante, perchè si realizzi l’incontro tra “la mente bellissima, sola, pura” ed “il corpo bellissimo, solo, puro”. Tale unione ci rende “inquilini” privilegiati della creazione artistica permettendo di fatto un’esplorazione fisica e mentale della stessa.
Icaro non erige Luoghi assurdi e ricchi d’ intellettualismi. All’opposto, costruisce le sue opere equilibrando la forza dei materiali ostili come i metalli con la friabilità di quelli più delicati come il gesso. In tal modo, l’artista apre la materia al confronto con l’umano e svela come l’estraneo costituisca in realtà il vivo riflesso del nostro stesso essere.
L’opera di Icaro indica il passaggio dal immanente al “trascendente”. Qui ogni cromia si estingue in un bianco abbaglio, le aporie della scienza rivendicano il proprio diritto all’esistenza ed ancora, la parola perde il proprio significato divenendo sospiro. Così la materia, che similmente al corpo “custodisce il segreto”, riesce nell’intento di praticare “sé e non la propria immagine referenziata”.
Le creazioni di Icaro sciolgono come un sole le nostre ali di cera, trascinandoci tra gli abissi delle fragilità disprezzate. Diversamente dall’Icaro greco però, ora siamo capaci di accettare quelle debolezze, renderle “arca” e tornare in superficie come eroi trionfanti. In altre parole, l’artista torinese valorizza attraverso la materia la nostra stessa umanità. La sua idea è che la ragione non debba costringere alla Gabbia ma al contrario, accompagnare lo sguardo attraverso la grata.
Grazie all’opera di Icaro ho smesso di considerare il cielo come una linea, ho riconosciuto l’azzurro ovunque e sono tornata al mondo colma di sogni Blu Klein.
La nascita dell’arte contemporanea si fa coincidere con il movimento francese dell’impressionismo, in ragione del carattere rivoluzionario di alcuni lavori di fine Ottocento.
Gli artisti impressionisti, tra i quali spicca Monet, costringono il realismo accademico ad uscire allo scoperto: en plain air i modelli tradizionali rivelano la propria inconsistenza. Il dogma accademico, infatti, risulta incapace di reggere in modo efficace un confronto diretto con la realtà. Emerge peraltro che, laddove l’artista riferisce senza interpretare quanto registrato dal proprio occhio, il risultato è sorprendente: Linea e colore danno vita a forme indecifrabili. Nello specifico, la bidimensionalità della tela determina uno sviluppo libero del segno, sciogliendolo di fatto da ogni obbligo verso l’oggetto concreto.
Certamente la serie delle ninfee di Monet costituisce il manifesto della rivoluzione impressionista.
Osservando il dipinto, risulta evidente come i fiori siano descritti attraverso pennellate rapide e delicate. I tocchi di colore sono imprecisi e tendono a sciogliersi l’uno nell’altro, rendendo in ultima analisi difficoltosa la lettura dell’opera.
La superficie, nel complesso, restituisce una dimensione confusa, qui i verdi-azzurri stagnanti sfumano nei rosa pastello delle ninfee. Tale unità viene peraltro arricchita da bianchi cremosi e tutt’ altro che candidi di cui non ci si spiega la provenienza. Si tratta delle nuvole celesti che sfiorano e contaminano le acque fiorite del giardino. Questi elementi, nel loro insieme, contribuiscono ad introdurre lo spettatore in una condizione di assoluta serenità. L’esperienza ha inizio laddove la terra si contamina di cielo ed il verde si lascia penetrare dall’ azzurro. In sostanza, l’armonia naturale trabocca i limiti imposti dalla fisica e si diffonde come un canto nello spazio circostante.
Nei giardini segreti di Monet l’arte ottiene silenziosamente la propria rivincita sull’umano. L’individuo, infatti, ha creato la parola perché significhi il mondo, ma non può appropriarsi della forma artistica secondo il proprio capriccio.
La dimensione creativa ha per l’artista francese un’unica costante: trascende la razionalità. Per questa ragione, soltanto l’osservatore dallo sguardo libero ha il privilegio di avere accesso ai paradisi dell’arte, qui “tutto è canto e immagine di Dio”.
Anche io oggi sono rimasta colpita dall’immagine di Mattarella davanti all’altare della Patria ed anche io, d’impulso, ho pensato: “c’est tout”, lo condivido e condivido.
Subito dopo però, mi sono accorta che l’immagine del presidente non ha lo scopo di “avvitare” la riflessione sulla sua impeccabile istantanea ma, al contrario, dovrebbe incoraggiare alla discussione. Ancora una volta, l’icona rischia di assorbire l’atto critico, contraendo di fatto lo sforzo intellettuale in uno sharing passivo.
La libertà è un valore ed i valori non sono scatti impolverati di sorrisi irrimediabilmente perduti.
Il 25 aprile è quel giorno in cui DOBBIAMO imporci di riflettere sul nostro ideale di libertà come pratica quotidiana, partecipata, viva!
Oggi, più di ieri e di domani, interroghiamoci sul significato mutevole di una parola tanto abusata: Libertà “forse si affina, spesso si complica, in ogni caso evolve, riconfigurandosi secondo nuovi assetti che riflettono le trasformazioni della vita civile.”